Aggiornato al 03/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Fausto Pirandello (Roma, 1899 - 1975) - Siccità

 

La siccità, nella storia del mondo

di Giorgio Cortese & Cesare Verlucca

 

Cari amici,

avete mai pensato che qualsiasi cosa accada nella natura, la gente trova solitamente che non vada bene?

Piove un po’ più del solito? Di questo passo finirà che ci allaga.

Non piove da un mese? Se prosegue così, finirà che secca tutto.

Il sole brucia più di quanto lo si vorrebbe? Tutti ansimano, cercano dove andare a ripararsi: in montagna al fresco; in spiaggia in riva al mare, e sempre comunque brontolando.

Per evitare di lamentarci di quello che riempie le nostre attuali giornate, a Giorgio e a me ha punto vaghezza di cercare cosa avvenisse nel passato, sia prossimo che remoto, in situazioni analoghe alla attuale. Il passato, per noi, non vuol dire l’anno scorso o il secolo scorso, noi ci divertiamo maggiormente a risalire la notte del tempo; e senza badare che fuori il termometro oggi registra magari quaranta gradi, proseguiamo tranquilli anche perché in casa abbiamo gli strumenti congrui che ci consentono di respirare.

Ci premuriamo di fissare sempre in via previa un argomento suscettibile di spingerci a interessanti ricerche, e questa volta, checché possiate immaginare, abbiamo concordato di prendere di mira la parola “siccità”, che deriva dal lemma “secco” a sua volta “sereno”. Se oggi la parola “sereno” significa “limpido”, senza nuvole, che esprime tranquillità, in latino serenus era il secco, l’asciutto. Poiché l’asciutto della terra dipende dall’asciutto del cielo, si comprende come questa idea di secco si sia proiettata in alto, descrivendo uno stato limpido dell’atmosfera, privo di nubi, privo di nebbia.

La siccità, la mancanza o carenza di pioggia, non è solo una caratteristica del periodo contemporaneo che stiamo vivendo. Nella storia dell’umanità, siccità, alluvioni, eruzioni vulcaniche, hanno segnato la fine di imperi e scatenato rivoluzioni. Il più grande dei mutamenti climatici recenti, la fine della glaciazione avvenuta intorno a dodicimila anni fa per le lente variazioni dell’orbita terrestre, ha addirittura fatto nascere la storia del genere umano.

L’aumento di temperature e piogge in molte aree del Pianeta le ha rese infatti adatte ai cereali, innescando l’invenzione dell’agricoltura, delle città e della scrittura; chiudendo così i duecentomila anni di preistoria in cui gli umani erano stati solo cacciatori e raccoglitori nomadi. Essendosi le civiltà umane rese dipendenti dalla terra coltivata già dagli inizi, le resero altresì vulnerabili al clima, a cui non si poteva più sfuggire semplicemente migrando altrove.

Una delle prime crisi climatiche portò all’invasione della Mesopotamia nel 2334 a.C., quando gli Accadi invasero le terre dei Sumeri. Dalle tavolette che parlano di quei lontani avvenimenti, pare vi siano stati due secoli di siccità che disseccò le terre appena conquistate, portando all’abbandono di quantità d’insediamenti.

Già allora i "profughi climatici" furono tanto numerosi da indurre la città di Ur a costruire un muro di 180 chilometri per tenerli fuori, prima di collassare a sua volta.

Se rimaniamo tranquilli a quel passato lontano, senza troppo badare al tempo che continua a correre, ci troviamo spalla a spalla con gli antichi romani, che rimediavano alle carestie create da eventi climatici spostando il cibo da una provincia all’altra, grazie alla loro estesa rete di strade e porti: una strategia simile a quella attuale.

Ma quando, a partire dal III secolo, il clima diventò più freddo e secco, il Nord Africa, uno dei granai dell’Impero, si inaridì. Il venir meno del grano africano fu un grave fattore di instabilità per l’impero.

Forse il colpo di grazia arrivò quando dal 350 una siccità che durò parecchi decenni colpì le steppe euroasiatiche, facendo muovere bellicose popolazioni locali, come gli Unni, verso ovest. Il loro arrivo in Europa spinse le popolazioni germaniche a fuggire in più ondate nell’Impero romano d’Occidente, finendo per cancellarlo.

Ma quando parliamo del collasso di una civiltà, non dobbiamo pensare a un fenomeno veloce e cruento; molte volte consisteva anche nel progressivo spopolarsi delle città, con le famiglie che si disperdevano in piccoli centri agricoli dove era più facile trovare cibo, come accadde alla civiltà Maya classica, insediata nel centro dello Yucatan nei primi secoli dell’era corrente, quando piogge abbondanti e regolari resero quell’area molto produttiva. I re-sacerdoti, con i loro cruenti sacrifici, garantivano il favore degli dei, ma quando nel IX secolo le piogge si diradarono per decenni, forse anche a causa dell’eccessiva deforestazione, la fiducia nell’élite venne meno e i loro sudditi si spostarono in aree meno aride del Centro America. Le splendide città dello Yucatan finirono coperte dalla foresta.

Altre civiltà sono cadute per il problema opposto come la civiltà Khmer, in Cambogia, dove nella valle del fiume Mekong le piogge sono concentrate nella stagione dei monsoni, e provocano frequenti inondazioni. Così i re Khmer costruirono la città-tempio di Angkor, al centro di una serie di imponenti lavori idraulici, con canali e bacini per regolare le acque. Per sfamare la popolazione che aumentava, la rete idraulica divenne sempre più complessa e difficile da mantenere. Alla fine del XIV secolo i monsoni divennero molto irregolari, alternando anni di siccità ad anni di diluvi, e divenne impossibile tenere in funzione le opere idrauliche. L’area coltivabile diminuì e con essa la popolazione, finché Angkor venne sommersa dalla giungla.

Situazioni più o meno analoghe si ebbero tra le civiltà del Sud America, sulla costa settentrionale del Perù, dove si verificò per millenni una lotta fra l’uomo e El Niño, il ciclico riscaldamento delle acque costiere del Pacifico orientale, con il problema che ogni pochi anni El Niño provocava piogge torrenziali e la scarsa pescosità delle coste, mentre il suo opposto, la Niña, fermava le piogge e portava i banchi di pesci vicino alla costa.

Esaminare il passato remoto seguendone le lente evoluzioni, porta a soffermarsi sull’era moderna, quando si hanno notizie di condizioni eccezionali di siccità dal novembre 1539 all’aprile del 1540: le cronache del tempo indicano la mancanza assoluta di precipitazioni piovose e nevose. I fiumi del nord Italia seccarono, così come i pozzi. Nella pianura Padana i danni ai raccolti fecero innescare l’impennata dei prezzi del grano, con conseguente effetto di carestia.

Nel 1616, l’eccezionale siccità iniziò nell’Europa orientale a meno di quindici anni dalla epidemia di peste che la avrebbe seguita. Si estese poi a occidente includendo l’Italia e perdurando dalla primavera fino alla fine dell’estate, con temperature medie molto elevate.

Nel 1741, la siccità si verificò a partire dalla primavera, proseguendo per tutta l’estate. L’inverno precedente era stato lunghissimo e freddo. Al termine del periodo ci furono precipitazioni temporalesche violente, che aggiunsero danni, come quella di metà agosto sulla città di Torino che portò chicchi di grandine di quasi dieci centimetri di diametro che infransero la maggior parte dei vetri e dei lucernari dei palazzi.

Ma alcuni popoli furono favoriti dal clima impazzito, come quando nella piccola età glaciale che colpì l’Europa fra XV e XIX secolo, causata forse da un calo nell’attività solare, portò piogge torrenziali, tempeste estreme, gelo e carestie. Un disastro per tutti, ma non per gli olandesi del XVII secolo, che capirono come trarne profitto: smisero di coltivare il delicato grano, passando al foraggio per i bovini e basando così la loro dieta su latte e carne, mentre i cereali li acquistavano dove i raccolti erano stati buoni, per stoccarli e rivenderli nelle aree colpite dalle carestie. Con i capitali accumulati armarono flotte mercantili dirette in tutto il mondo, aiutate anche dai venti atlantici rafforzati dal cambiamento climatico, iniziando l’era del colonialismo europeo.

In quel periodo avvenne anche un altro evento climatico che contribuì a cambiare il mondo: l’eruzione del vulcano islandese Laki del 1783-84, scagliò in aria così tanta polvere da rovinare con gelo e siccità un paio di raccolti in Europa: questo aumentò il già grande malcontento dei contadini e dei borghesi francesi, spingendoli verso la Rivoluzione; e poi un altro vulcano con le sue polveri portò le piogge torrenziali del 1814 che furono una delle cause della sconfitta di Napoleone a Waterloo.

Proseguendo sulla storia delle siccità, nel 1893 avvenne un periodo in cui le precipitazioni furono rarissime, se non, in molti casi, nulle. Ancora oggi, in termini di precipitazioni, è considerata l’annata più arida.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, il 1921 è uno dei peggiori anni, per quanto riguarda la siccità. Concentrata nell’Europa nord-occidentale arrivò comunque a coinvolgere l’Italia e il Mediterraneo. Il livello delle precipitazioni crollò del 40%, fenomeno che nella penisola si protrasse fino all’inizio dell’anno 1922.

Nel 1945, l’Europa straziata da cinque anni di guerra, l’estate di quell’anno cruciale fu nelle rilevazioni ancora peggiori di quella che si registrerà nel 2003. La terra si inaridì dai giorni della liberazione dal nazifascismo sino all’agosto inoltrato.

Nel 1954, la siccità colpì in prevalenza il Meridione d’Italia. Niente piogge a Sud per oltre 5 mesi. Nel 1959 le regioni più colpite dalla siccità in Italia furono quelle settentrionali, in particolare Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, Sardegna inclusa. Per oltre cento giorni non vi furono precipitazioni.

Nel 1962, fu l’anno record per l’assenza di pioggia in Sicilia, già colpita da una cronica carenza idrica. Dal cielo non cadde nulla per circa duecento giorni. La siccità colpì per tre mesi anche le altre regioni italiane.

Nel 1976, sono in molti a ricordare un caldissimo inizio del mese di giugno, quando l’anticiclone investì l’Europa, colpendo in particolar modo la Francia. Il caldo fu eccezionale, con temperature vicine ai +40°C. La seconda parte dell’estate fu caratterizzata da violentissimi fenomeni temporaleschi che crearono notevoli danni specie sulle regioni adriatiche. Il 1980-81 fu un anno senza neve sui rilievi per tutto l’inverno. In pianura, tra novembre e marzo, vi furono più di cento giorni senza pioggia. Nel 1994-95, l’anno si presentò privo di precipitazioni dopo che il precedente si era concluso con la disastrosa alluvione del Piemonte.

Nel 2003 le premesse della siccità e del caldo eccezionale di quell’estate ricordavano la situazione del 1976. Per settimane le medie furono in Italia superiori ai 40°C, e le morti registrate durante la stagione furono 4.000 in più della media. La durata del fenomeno fu particolarmente estesa, da maggio a fine agosto.

Nel 2011, la siccità giocò d’anticipo rispetto alla norma, presentandosi già nel mese di aprile. Il giorno 9 le medie avevano superato di oltre 10 gradi i valori del periodo. Il fenomeno della siccità colpì in particolar modo le regioni settentrionali. Nel 2015 ci fu una siccità invernale, concentrata tra novembre e dicembre, con impoverimento delle nevi sulle Alpi e crescita vertiginosa dei tassi di inquinamento nei grandi centri urbani.

Come si vede, si potrebbero scrivere pagine e pagine sugli episodi della storia umana, che raccontano di periodi o annate particolarmente siccitose, con fiumi ridotti a rigagnoli e laghi quasi prosciugati. Tutte situazioni che nel tempo si sono risanate, e che poi, ciclicamente, sono tornate a essere critiche.

Inquietarsi per una stagione quale che sia, risulta del tutto inutile, e la storia ce lo conferma. Fa troppo caldo quest’anno di grazia 2022? Basta pensare che ne usciremo anche questa volta, e i nostri fiumi torneranno come sempre a scorrere e registrare piene. Se iniziassimo a usare fonti energetiche sempre meno inquinanti per non accelerare i periodi di siccità, sarebbe anche un po’ di buon senso, perché se nei secoli scorsi l’acqua era considerata un bene prezioso, oggi, con i nostri sprechi, spesso ce ne dimentichiamo.

Ed è così che – nostro malgrado – torna fruibile il detto latino col quale siamo spesso tentati di concludere i nostri argomenti, Sic transit gloria mundi.

Noi, tuttavia, ci limitiamo a promettere che il meglio, come nei migliori feuilletons, sarà al prossimo numero. O no?

 

Inserito il:28/06/2022 15:01:51
Ultimo aggiornamento:28/06/2022 15:28:11
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