Aggiornato al 14/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

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La Olivetti vista con gli occhi di un dipendente - 2

Quando il sogno Olivetti si è avverato

(seguito)

di Rolando Argentero

con Cesare Verlucca

 

Se è vero che un momento favorevole può capitare per tutti, quello giunse finalmente anche per me e la mia vita proseguì su una strada che porta lontano.

A casa trovai una lettera della società Olivetti che mi invitava per il 1° dicembre 1954 alla villetta che tutti i giovani conoscevano come “la porta d’ingresso” nell’azienda per un colloquio.

La più emozionata era mia madre.

«Stai attento domani, non pensare ad altro come fai spesso, è in gioco il tuo futuro».

Aveva visto giusto. Quando entrai nella villetta incontrai diversi altri ragazzi coetanei (anche loro con le mie stesse speranze) e, in un angolo, quasi rannicchiata, vidi una giovane che portava le scarpe basse e calzine bianche e sembrava voler sfuggire agli sguardi di tutti. Mi colpì. Era dolce e fiera allo stesso tempo, sembrava più matura di tutti noi. Inutilmente cercai di attaccar bottone.

Seguirono diversi colloqui, poi ci rimandarono a casa, invitandoci nei giorni successivi per altri incontri con “strizzacervelli”: volevano accertarsi delle capacità (teoriche) di ognuno. Infine, appuntamento per tutti per le 7,30 del 7 dicembre nella saletta del primo piano.

Un sorvegliante in divisa si presentò con una lista nominativa. Un primo gruppo, nel quale figuravo anch’io, fu accompagnato verso la “Portineria del Pino”, cosiddetta per la presenza di un lucente abete proprio di fronte all’ingresso. In fila e in silenzio, ognuno di noi immerso nei propri pensieri, entrammo nella mitica azienda, quindi nel celebre Salone dei Duemila (così chiamato perché realizzato quando la Olivetti aveva raggiunto questo numero di lavoratori), quindi ci avviammo per una rampa che raggiungeva un primo piano (nel quale, scoprimmo poi, erano sistemate le Officine Meccaniche) e proseguimmo verso il secondo, nostra meta. Era la sede del montaggio delle macchine per scrivere Lexicon 80.

Fui destinato all’allineamento dei caratteri: un lavoro ripetitivo e per due anni non ci fu nulla da fare per migliorare. Il capo reparto era Mario Limone e, sopra di lui, in funzione di responsabile di tutti i montaggi (anche del calcolo), c’era l’ingegner Moiso che osservava placido da un ufficio in un angolo del reparto. Accanto a lui la segretaria, la signora Baty, moglie del concessionario delle biciclette che aveva il negozio in corso Massimo d’Azeglio, vicino al campo di calcio “Gino Pistoni”.

Io, che amavo scrivere, accettai e trangugiai come un boccone amaro che, per colpa mia, mi toccasse il lavoro in fabbrica e che l’azienda dell’ingegner Adriano Olivetti mi offrisse (fine anno 1954, matricola 12.996, reparto montaggio macchine per scrivere) di iniziare a collaborare da quel posto di lavoro ripetitivo con piccole notizie anche per il giornale aziendale.

Nel frattempo, c’erano già stati altri test. In particolare, in occasione delle elezioni politiche del 1958 che videro l’ingegner Adriano Olivetti candidarsi per l’elezione a sindaco di Ivrea.

L’occasione per cambiare e migliorare venne con l’arrivo dell’ingegner Rigo Billi, un fiorentino dall’accento marcato che vestiva tutti i giorni una tuta per non distinguersi dagli operai, e con noi chiacchierava volentieri: uno alla mano, insomma. Fu lui che un giorno mi propose di imparare tutte le fasi del montaggio per fare di me un “sostituto”, cioè un operaio che alle 7,30 del mattino poteva andare a sostituire qualsiasi assente senza che il ritmo del lavoro ne risentisse. E fu ancora lui, qualche tempo dopo, a chiedermi se me la sentivo di andare in Germania per insegnare l’allineamento ai tecnici del locale Servizio Tecnico Assistenza Clienti (STAC).

Sulle prime esitai: ero sposato da poco e ci era nata una bimba; poi capii che la proposta era per un soggiorno breve e dissi di sì. A Francoforte mi attendevano con impazienza. Il mio compito era andare con loro dai principali clienti nelle più importanti città tedesche (esclusa Berlino, allora ancora divisa fra le quattro potenze che avevano “vinto” la seconda guerra mondiale) e dare loro soddisfazione.

Svolsi il lavoro con cura e passione al punto che, al momento del rientro, venni raggiunto da una telefonata dell’avvocato Arrigo Olivetti, cognato dell’ingegner Adriano, il quale mi chiese la cortesia di fermarmi ancora due settimane a Vienna (che dipendeva da lui), per ottenere anche in Austria lo stesso positivo risultato raggiunto in Germania. Capivo che dire di no poteva compromettere quanto di buono avevo fatto fino a quel punto, ma dire di sì mi seccava. Telefonai a mia moglie e, insieme, decidemmo che avrei accettato.

Con Billi rimasi alcuni anni. Dopo Ivrea ci fu il trasferimento a Scarmagno, poi ad Agliè; le mie responsabilità crescevano. In quest’ultima località, in particolare, era come essere in famiglia. A me, tuttavia, restava nel cuore la speranza di poter essere trasferito un giorno all’Ufficio Stampa, e proprio mentre mi trovavo nel paese reso celebre dalle poesie di Guido Gozzano, ricevetti la telefonata che più attendevo: quella di recarmi il più presto possibile all’Ufficio Stampa, presso il Palazzo Uffici di Ivrea, dove si era finalmente liberato un posto per me.

Nessuno dei miei colleghi o superiori mi intralciò. Con l’aiuto dell’amico Ermanno Franchetto, che certamente si era speso per il mio trasferimento, imparai anche quel lavoro nel quale sono rimasto a lungo cercando di fare il meglio.

I giornali locali mi offrirono presto un palcoscenico ed io mi buttai. Poi compresi che non bastava, e allora mi rimisi a studiare per mio conto, iscrivendomi a un corso di giornalismo all’Università di Bologna (su e giù con il treno durante il fine settimana).

(Continua)

 

Inserito il:03/11/2021 17:26:17
Ultimo aggiornamento:03/11/2021 17:35:44
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