Mary Evelyn Pickering, (Londra, 1855 - Londra, 1919) - Ariadne in Naxos
La costellazione di Arianna. Il filo boreale.
di Alessandra Tucci
Figlia del re di Creta e della sorella della Maga Circe.
Aveva tutto, bellezza regalità contatti validi e potenza, poteva avere chiunque lei volesse nel reame e ovunque, con l’aiuto della zia e senza bisogno di una qualche chat virtuale, anche i più lontani.
Una famiglia oltretutto che stava particolarmente a cuore al divino premuratosi di non farla scivolare nelle sabbie molli dell’infamante oblio: una pecora nera in casa reale e l’eterna eco dello scandalo era più che garantita. Un bovino più che ovino. Per metà. L’altra metà era uomo. Furioso feroce insaziabile, figlio della madre Pasifae e di un toro inviato a lei da un galeotto Poseidone.
Asterio per gli amici e la sorella, il Minotauro per tutti quanti gli altri. Ma per gli altri la belva umana non rappresentava poi questo gran problema.
Rinchiuso su ordine del re cornificato nel labirinto che Dedalo aveva con largo acume realizzato, l’unica a dovergli garantire vettovaglie e vitto era la sola città di Atene: sette fanciulle e sette giovanotti al mese e il tributo per essere perita in guerra era bello che pagato.
Un fratellastro altisonante e scenico ma tutto sommato recluso nel labirinto e mensilmente sfamarlo, Arianna in fondo non aveva che da preoccuparsi di ri-umanizzare la progenie familiare con un brav’uomo devoto, innamorato e alleato al padre. Magari, volessero gli dei, di stirpe reale.
E pare che oltretutto gli Dei non volessero a questo giro mettersi di mezzo coi loro scherzi e trucchetti a ostacolare, caso talmente raro da covare come un uovo d’oro, un tesoro.
Ma si sa che i reali hanno in fretta a noia fortune e doni vari, le principesse poi. Cercano sempre l’unico pisello che le insidia sotto strati e strati di bambagia, vogliono adottare l’infido, correggere l’incorreggibile, vogliono sempre, bontà loro, il traditore.
Fu la giovane dunque l’artefice di sé e del suo destino, niente dei di mezzo in questo suo ineluttabile compiersi. E schiantarsi. Sul principe di Atene per l’esattezza, venuto a Creta non per lei ma contro il suo casato, a rendere l’inammuffibile pan per focaccia: l’uccisione del Minotauro per tutti i giovani e ogni fanciulla del popolo ateniese ogni mese da quella mezza belva divorati.
Affascinante lo era, qui mi sento di spezzare una lancia a suo favore, aveva il fascino del millantatore. Quello che la vocazione femminile proprio non riesce ad ignorare, il fascino del freddo eroico e tenebroso. Maledettamente distaccato, l’indifferente, irraggiungibile. Il pessimo partito.
Che pessimo lo ritenesse anche la sua famiglia, quella regale, eviterei di verificarlo, è evidente a chiunque ora come era allora più che chiaro a lei. Che lei non ne abbia fatto parola in casa con alcuno dunque lo do per certo, in automatico. Con una sola eccezione, la solita a conferma di ogni regola.
La principessa chiese consiglio a Dedalo, solo a lui ma senza indugio. Era Dedalo il deus ex machina del labirinto e nel labirinto Teseo, dopo essersi premurato di folgorare Arianna col suo bel faccino e la villosa costituzione, si apprestava ad entrare. Voleva che ne uscisse e la sposasse, mica chiedeva il cielo.
Magari che prima, bontà sua, la corteggiasse quel po’ che ogni donna prega sia almeno un minimo passabile. Una poesia di Catullo, bastava anticipare di qualche secolo il suo poetare, Saffo no che la famiglia in ambiguità aveva già abbondantemente dato, Ovidio sì se si dava una mossa a scrivere un qualcosa di romantico, mettere in versi la passione, a nascere e rimare finalmente.
Voleva cose da femmine tutto sommato, le solite spremute di cuore. E voleva la portasse via con sé, lontano.
Come glielo spiegava a tutta quella bella gente del castello il casino che stava imbastendo alle loro spalle? Non glielo spiegava, faceva prima. E non giustificava. Via, dunque, ovunque. Ad Atene, Itaca, Sparta, ovunque Teseo andasse.
Dedalo, sull’attenti al cospetto di un qualsiasi reale, le consigliò un filo. Senza che stia qui ora a spiegare, è noto a tutti, è l’imperituro tessere ordire e filare di ogni donna, l’argenteo filo ombelicale teso a un’esistenza migliore.
Forza maschile e quella verve tignosa tutta femminile quando uniti e armonizzati fanno miracoli. La forza di Teseo uccise il Minotauro, il filo di Arianna lo ricondusse a rivedere lei, la stella che ardeva del suo amore. Ma che lui non ricambiava.
Il freddo caricò comunque l’accalorata sulla nave, direzione Atene. E ci mancherebbe, almeno la faccia da salvare.
E la scaricò sull’isola di Nasso, la piantò letteralmente in asso. Appena lei cadde addormentata lui levò ancore ed ormeggi e se la dette a vele spiegate, fedele a un solo dio, il suo buon nome. La nomea maschile.
Sorge il dubbio a questo punto che il destino sia accorso solo per zittirla. Non se ne poteva più lassù in Olimpo di quei suoi inestinguibili lamenti da abbandono, urgeva tacitarla per la pace cosmica, quella divina.
Fu così che il divino Dioniso si presentò ad Arianna, sfiancato dal suo pianto, indebolito, un dio senza più forze per resistere e reagire, lui cedette immediato al fascino di lei.
Il dio dell’opulenza, della gioia, la rinascita, il dio del ciclo del piacere e del mutare, dell’esistere, offrì un futuro e la sua mano alla donna sedotta, usata e abbandonata. Non è certo se in ginocchio con un qualche brillante in mano o una rosa almeno, un fiore di campo, una margheritina, un misero bocciolo quantomeno. E’ sicuro però che lei lo guardò tutt’a un tratto desta. Ringalluzzita.
La donna al cospetto del divino asciugò veloce il pianto e cominciò a contare. Gli anni avanti a lei, la terra tradita e abbandonata, gli inesistenti pretendenti alla sua mano. La stirpe divina che ne sarebbe derivata, gli agi, tutti i poteri, il poter competere da pari a pari finalmente con la zia. Il conto della serva in due parole.
Senza tirare troppo la corda che di fili e funi varie ne aveva le scatole fin troppo piene, Arianna alla resa dei conti disse sì. Con un coraggio intuitivo e ragionato. E avvenne la rinascita. A vita migliore, una vita nuova.
C’è una domanda che è sempre sorta in me al cospetto di questo mito, è la storia del riscatto?
L’istinto di ogni donna a cosa tende per davvero, al solo sacrificio, all’impossibile, l’abbandono, al fantomatico uomo ingiusto e ingrato, quello oscuro, l’uomo nero? O forse è in quel suo istinto la ruota dell’esistere, morire a tutto il buio che ella ingoia avanzando nel suo incedere e (far) rinascere ogni volta nello scintillio del sole, dentro la luce?
Forse la risposta è su, nel cielo.
Forse è davvero nella Corona Boreale, il diadema che Dioniso donò ad Arianna, la donna riscattata e presa in sposa. E che il coraggio di (ogni) lei di vivere senza sconti indulti e scorciatoie per poi poter risorgere ha proiettato in cielo, tra le stelle. A monito e memoria. Da allora in poi per ogni futura generazione.
Arianna, il filo luminoso del femminile infaticabile rigenerare. Sé, l'amore, la passione, la sfida, il coraggio.
Una costellazione.