Aggiornato al 24/12/2025

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

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DALLA POLTRONA (15) - Stefano Levi Della Torre

di Giacomo D. Ghidelli

 

Stefano Levi Della Torre, Dio, Bollati Boringhieri

 

“L’idea di Dio ha influito con potenza nella storia, nelle mentalità e nei sentimenti umani. Intorno a essa hanno ruotato non solo le religioni ma anche le formazioni sociali e politiche, le filosofie, le arti, le letterature, gli spazi e lo spirito dell’abitare e del migrare. L’idea di Dio arriva a noi attraverso i millenni e molte variazioni, e la sua persistenza ne dimostra la necessità, piuttosto che la verità. Di questo fatto cerco di indagare modi e ragioni”. Così Stefano Levi Della Torre delinea il cammino che compie e che vuole farci compiere nella prima pagina dell’introduzione di questo densissimo e splendido libro.

E allora partiamo dall’aggettivo che lui usa: “L’idea di Dio come idea necessaria”. Ma perché “necessaria”? Forse perché Dio è una presenza reale e constatabile come ad esempio lo è una qualsiasi persona che è di fronte a noi, la cui presenza è necessaria proprio perché essendo la persona presente qui ed ora non può essere negata? No, ci dice la Bibbia. Di Dio non possiamo vedere il volto, ma soltanto il suo “retro”, vale a dire le sue tracce, i suoi effetti, cioé il “creato”. In altri termini, l’idea di Dio è necessaria perché è necessaria alla stessa esistenza del mondo. L’idea di Dio come Causa delle cause, come “bandolo di tutta la catena causale dell’accadere del mondo”.

Questo pensiero apre però la strada a una obiezione. Se “nella sequenza causale, Dio è la causa che fa esistere tutto ciò che di per sé non avrebbe ragione di esistere”, chi fa esistere Dio? “Se Dio già esiste, allora appartiene all’insieme delle cose esistenti e dunque Dio non crea tutto ciò che esiste perché non crea anche sé stesso, che pure si ritiene sia esistente; oppure per esistere deve creare sé stesso, e dunque appartiene al mondo delle cose che non sanno darsi esistenza se non ad opera di Dio. Dio, l’increato, risulta creatura di sé stesso, e la fede che si dice assetata di senso si appagherà del non-senso”.  Il fatto è, ci dice l’autore, che “la logica non è il mestiere della fede”, perché il “mestiere della fede” è il desiderio. Un rapporto, quello tra fede e desiderio, che costituisce “l’imprinting che fonda la persona umana, per cui il riposare nella fiducia, nella fede e nella convinzione è un desiderio più vicino all’istinto e perciò è più potente delle cognizioni, delle dimostrazioni e del dubbio che la ragione pretende. È il primato del credere, che per la vita è più originario del sapere”. D’altra parte, aggiunge l’autore, “anche la scienza è una via del credere, ma sotto lo sguardo accigliato della ragione; è una via per essere convinti grazie a dimostrazione ed esperimento, invece che per suggestione o sentimento”. Una fede quella della scienza (aggiungo io) che è tale proprio perché i suoi risultati sono sempre provvisori, vale a dire che sono veri sino a quando una nuova dimostrazione li falsifica dimostrando altro.

Così da un certo punto di vista si potrebbe dire che la fede in Dio è superiore alla fede nella scienza, perché “Dio è il monumento al nostro incolmabile non sapere, nel cui abisso lanciamo le voci delle nostre domande attendendo l’eco di una risposta altrui”. Ma queste risposte ci vengono da una voce che ben conosciamo, perché è ancora la nostra. Se pensiamo infatti alle funzioni che attribuiamo a Dio (Dio salva, Dio protegge, Dio consola, condanna e assolve, nutre o affama) vediamo subito che queste funzioni “sono le ispiratrici dei sentimenti verso Dio e del desiderio e bisogno di Dio”. Ma questo bisogno è nient’altro che “il bisogno di uno sguardo di cui vorremmo sentirci oggetto, uno sguardo così autorevole da renderci oggettivi a noi stessi, contagiati dall’assoluto e dall’eterno per aggirare l’inesistenza e la morte: come all’inizio della vita o nell’innamoramento lo sguardo dell’amata o dell’amato ci certifica di noi stessi, della nostra consistenza e di essere voluti nel mondo. E per questo amiamo quello sguardo e gli siamo riconoscenti anche se non conoscenti”.

Necessità dell’idea di Dio, quindi, come necessità di un eterno e abissale riconoscimento.

Ma non solo. Necessità dell’idea di Dio anche come difesa dall’abisso della nostra originaria ignoranza.

Scrive l’autore (e qui mi scuso per la lunga citazione, ma il testo originale è senza dubbio migliore della sintesi che potrei farne): “Dal non sapere il perché del tuono e della pioggia, della vita e della morte e delle alterne fortune, dalle potenze smisurate che soverchiano l’umano nasce il senso del sacro. In esso è il terrore primitivo dell’indecifrato e il desiderio di salvezza, e questi sono all’origine del senso religioso. Il sacro non è immediatamente religione, la religione è piuttosto decifrazione e manipolazione del sacro. Ogni evento cerca spiegazione risalendo alle sue cause, e la causalità è un criterio della logica. Inteso come causa degli eventi e del mondo, il divino rappresenta il principio stesso di causalità, perciò l’idea di Dio ha forza logica, e rende ragione dell’essere e dell’accadere. Nella sua evoluzione, l’idea di Dio ha abbracciato sia la dimensione del sacro e delle potenze soverchianti e inspiegate, sia la salvezza da esse: nella sua trascendenza onnipotente e indecifrabile Dio è il sacro stesso; ma in quanto creatore e quindi causa e principio logico del mondo e degli eventi, Dio è anche antidoto all’angoscia del sacro, perché ne dissolve l’oscurità illuminandola del principio logico, in quanto spiegazione causale e giustificazione del tutto. L’idea di Dio creatore travasa il mistero inspiegato in spiegazione logica accessibile all’umano; traduce l’intrico tra bene e male, tra vita e morte, nella logica giuridica di un Giudizio. Come la medicina è trattamento della malattia, così la religione è trattamento del sacro, ne è l’antidoto”. E aggiunge: “Ci consola l’idea che il senso del tutto sia in un altrove inaccessibile ma che un po’ ci somigli. Poiché il senso è necessario alla vita, è il vettore mentale della vita, allora ce ne assicuriamo, delegandolo a un Dio, e il senso del tutto Dio solo lo sa”.

Ma uscendo dall’ambito religioso l’idea di Dio è sempre necessaria? Lascio ancora la parola all’autore: “Per un credente, Dio è un contenuto, per me è una forma del pensiero. Una forma prospettica. Dio è la rappresentazione mentale della totalità”. E l’idea della totalità, del tutto che esiste, è un’idea a cui non si può sfuggire, anche se l’unica cosa che di lei conosciamo non è il suo volto, ma il suo nome e la sua del tutto imprecisa “rappresentazione mentale”.

 

Inserito il:24/12/2025 11:44:31
Ultimo aggiornamento:24/12/2025 12:19:26
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