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DALLA POLTRONA (14) - Chiara Valerio
di Giacomo D. Ghidelli
Chiara Valerio, La fila alle poste, Sellerio editore Palermo
Un giallo. O forse no, anche se c’è un cruento omicidio di una bambina disabile.
Una ricerca di se stessi. O forse no, anche se la protagonista si aggira perplessa e indagatrice tra le varie discrasie aperte tra i i suoi desideri e la sua realtà quotidiana.
Un ritratto sociologico di un paese di provincia. O forse no, anche se dal racconto di ciò che accade e di ciò che vien detto durante una fila alle poste emerge l’invidia, il pressapochismo e l’aggressività delle persone, quasi che quella fila fosse una pagina di Facebook su cui ciascuno può esprimere liberamente i giudizi più avventati, facendosi governare dalla propria e dall’altrui incompetenza.
Un flusso di coscienza. O forse no, anche se il racconto si sviluppa percorrendo continuamente piccole vie laterali, perdendosi in ricordi improvvisi, rincorrendo parole che chiamano altre parole anche solo per aiutare a inventare nuovi mondi, in cui “tradizioni vecchie di secoli” sono state in realtà inventate il giorno prima.
La vita. Ecco: forse sì. Semplicemente la vita con le sue complessità, con i suoi percorsi interrotti, con le sue sorprese, con la sua semplicità.
E che si tratti della vita te ne accorgi subito. Te ne accorgi innanzitutto dalla scrittura: una scrittura leggera, che sembra sorvolare sulle cose mentre le scava in profondità. Una scrittura che è proprio come la vita quotidiana, in cui eventi apparentemente semplici possono spalancare la nostra mente su abissi di senso.
Le voci principali di questo bel libro che racconta la vita nel suo imprevedibile andare sono due. C’è una voce presente, quella di Lea, avvocato che vive a Scauri (un paese di poco più di 7.000 abitanti collocato tra Roma e Napoli) occupandosi di piccole diatribe locali, una quarantenne felicemente sposata con Luigi, insegnante, e madre di Silvia e Giulia, due graziosissime bambine. Accanto alla sua c’è una voce assente, quella di Vittoria, una donna che aveva scelto di trasferirsi da Roma in questo piccolo paese dove ha vissuto per alcuni anni con Mara, la sua compagna. Voce assente – Vittoria è morta da qualche anno – ma molto forte, che con le sue scelte, i suoi gesti e le sue parole ha segnato in modo indelebile, mi vien a dire, la mente di coloro che l’hanno conosciuta e frequentata. Prima tra tutte la mente di Lea, confusamente ma anche lucidamente innamorata di questa creatura che le ha aperto lo sguardo su altri modi di essere e di fare: una creatura “a cui piacevano i piatti sbrecciati, i bicchieri incrinati, il pantalone con un buco, Che mi importa, è il più bello che ho”.
Da qui, dai ricordi degli incontri con Vittoria, parte la ricerca di Lea su se stessa. Partono le domande e le digressioni. Partono i comportamenti che appaiono strani a lei stessa, visto che a un certo punto bacia una ex compagna di Vittoria, quasi fosse un bacio dato alla stessa Vittoria ma per “interposta persona”. Un bacio che non prelude a nulla, non soltanto per l’improvviso arrivo di un’altra donna, ma forse più per il fatto che la cosa era accaduta quasi per caso e allora – come le dirà un vecchio amico avvocato – “non è bene prendere il mare, se non si hanno competenze, almeno bisognerebbe avere intenzioni”.
Una ricerca che si interseca poi con infinite altre ricerche: c’è quella relativa all’amica Giovanna, accusata di essere l’omicida della figlia disabile di soli quattro anni; ci sono i dubbi sul marito di Giovanna, una figura poco chiara, che chiede a Lea di assisterlo per fargli ottenere la casa che sarebbe di proprietà della moglie, nel caso in cui questa venisse condannata per l’omicidio della figlia; ci sono i rapporti segreti tra la stessa Vittoria e la madre superiora del convento di Scauri; ci sono gli incontri di Lea con la zia e con la madre, entrambe alle prese con problemi di trasloco; c’è anche il mistero delle vongole lasciate a spurgare in mare e rubate da qualcuno che poi lascia i gusci nelle case del paese; c’è la gatta (anzi, la jatta, come si dice nel dialetto di Scauri) dell’amico Gino, morto, che si fa adottare dalle figlie di Lea le quali però gli cambieranno l’improbabile nome di “Gallina Nera” in un più simpatico e breve “Spiaggia”.
E poi c’è molto altro, perché la vita è sempre cosa ricchissima se esplorata nei suoi momenti e nelle sue preziose sfumature, cosa che Chiara Valerio fa con grazia e sicurezza nelle sue 360 belle pagine.