Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Litografia Armanino (Genova, 1903) – Cronologia dei Papi in cartolina – Antipapa Giovanni XXIII

 

Le grandi famiglie: I Medici - 4 - Ascesa e splendore di Casa Medici

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

4 - Il fondatore Giovanni di Bicci de’ Medici

 

Risultati immagini per giovanni di bicci de mediciChi si fosse aggirato per le strade di Firenze verso la fine del 1300, si sarebbe probabilmente imbattuto in un personaggio cortese, ma schivo, umile ed avveduto, che già godeva di una buona fama in città per onestà e comprensione, ma anche astuzia e determinazione nel condurre gli affari; tutto senza dare nell’occhio e senza trascurare di aiutare i più poveri, destinando anche cifre importanti in beneficenza. Sempre attento a non dar ombra ai “Grandi” che allora dominavano la politica fiorentina, Giovanni de’ Medici stava scalando poco alla volta i gradini del successo economico, pur mantenendo uno stile di vita modesto, fedele al motto “mai mettersi in mostra”.

Giovanni era nato a Firenze nel 1360, da Averardo detto, per motivi a noi ignoti, “Bicci” e da Jacopa Spini; passato alla storia come “Giovanni di Bicci” fu il vero fondatore delle fortune di casa Medici.

Gli inizi non furono facili; la famiglia Medici aveva conosciuto momenti difficili da un punto di vista economico nella prima metà del ‘300, l’adesione di uno dei suoi esponenti, Salvestro, al tumulto dei “Ciompi” non aveva certo migliorato l’immagine e le prospettive della casata.

Giovanni non è ricco di nascita, deve costruirsi da sé la propria fortuna; innanzitutto contrae un buon matrimonio, che non guasta mai, sposa Piccarda Bueri, discendente da una importante famiglia fiorentina, la sua dote è un aiuto fondamentale per lo sviluppo economico della famiglia, che può ampliare la sua presenza nel settore laniero. Ben presto Giovanni, però, si rende conto che la strada è un’altra, la finanza. Si iscrive all'Arte del Cambio, fa pratica come apprendista nel Banco di Cambio che lo zio Vieri gestiva a Roma, che poi rileva sempre grazie alla dote della moglie; comincia quindi ad espandere la sua attività, trasferisce la sede del Banco a Firenze, apre filiali a Venezia, Napoli, Ginevra.

Il salto di qualità nelle fortune della famiglia Medici, però, non fu dovuto certo al commercio della lana od alla finanza associata al commercio, quanto all’attività di banchieri al servizio dei potenti, in primo luogo la Santa Sede; il cammino che Giovanni dovette seguire per raggiungere una posizione di privilegio in quell’ambiente fu lungo e difficile, richiese doti di astuzia e lungimiranza ed anche una spregiudicatezza di cui nessuno avrebbe fatto credito ad un individuo così prudente ed avveduto.

L’occasione si presentò grazie alla crisi drammatica che attraversava la Chiesa, dilaniata in quel periodo dal conflitto tra tre antipapi: era accaduto che, alla morte del pontefice nel 1378, il popolo romano, nel timore che la sede papale potesse ritornare ad Avignone, aveva imposto, tumultuando, al conclave, l'elezione di un italiano, Gregorio XII: i cardinali francesi non potevano accettare il fatto compiuto, ed avevano quindi eletto un loro papa, Benedetto XIII, che si era subito insediato ad Avignone. Il mondo cristiano si era spaccato, Italia ed Impero riconoscevano il papa di Roma, Francia Inghilterra e Scozia il francese. Nel tentativo di dirimere la situazione, un concilio riunitosi a Pisa nel 1409, aveva designato un terzo candidato a sostituire i primi due, Alessandro V, alla cui morte, seguita dopo pochi mesi, successe un napoletano, Baldassarre Cossa, eletto con il nome di Giovanni XXIII; noi conosciamo un altro papa con questo nome e tra breve si spiegherà il perché.

Non fu una scelta felice; secondo uno storico (Montanelli)

“Il Cossa aveva tutte le qualità che un sacerdote non dovrebbe avere: era un politicante ambizioso e accorto, un amministratore abile e rapace, un generale sagace e spietato. Perché avesse fatto il prete invece che il condottiero, non si sa. Ancora meno si sa perché lo elessero Papa, e in un momento come quello.”

Aveva anche dei trascorsi di pirateria, ma è proprio in lui che i Medici intravvedono una chance; ne finanziano l’elezione, giungono fino a pagare un balzello 93000 fiorini al Re di Napoli perché lo riconoscesse come pontefice. In cambio il Cossa, dopo essersi insediato a Roma, concede loro la gestione delle finanze papali, lanciando così la Banca Medici nell’empireo della grande finanza, traguardo incredibile per dei “parvenus”.

L'elezione del Cossa non poteva certo essere accetta ai più, visto il personaggio, né poteva sanare lo scisma della Chiesa, motivo per cui era stato eletto. La Chiesa si ritrovò così con tre antipapi!! A questo punto, l'imperatore romano, Sigismondo di Lussemburgo, si decise a prendere l’iniziativa, convocando un concilio ecumenico, nel 1414, a Basilea: lo scopo dichiarato del Concilio era assai ampio, la Riforma della Chiesa, obiettivo molto ambizioso che il concilio non riuscì a concludere perché coinvolto fin dall’inizio in questioni assai più urgenti e spinose, in primo luogo, prima ancora della questione pontificia, il problema dell’eresia hussita.

Jan Hus (qui sotto la splendida statua posta nella piazza principale di Praga) era un teologo boemo che aveva sviluppato una dottrina ispirata all’insegnamento dell’inglese Wycliff, quindi ritorno alle origini povere della Chiesa, condanna delle gerarchie corrotte, rifiuto del mercato delle indulgenze, approccio diretto del cristiano alle Scritture. Scomunicato nel1411, Hus fu invitato a Basilea per giustificarsi e munito di un salvacondotto.

Fidarsi delle alte gerarchie, ecclesiastiche poi, è sempre un rischio e Hus dovette sperimentarlo sulla sua pelle: malgrado il salvacondotto fu imprigionato, processato e, al suo rifiuto di abiurare, condannato a morte. Jan Hus fu arso vivo il 5 luglio 1415 sulla piazza centrale di Basilea; prima di morire avrebbe esclamato; “Oggi voi arrostite un’anatra (hus in boemo significa anatra), ma dalle ceneri nascerà un cigno che non potrete fermare”. Lutero firmerà i suoi scritti con il simbolo di un cigno.

Uno degli argomenti in cui le invettive di Hus avevano fatto centro, però, era la figura del pontefice romano; Cossa fu invitato Basilea per chiarire la sua posizione e vi si recò, accompagnato dal figlio maggiore di Giovanni De’ Medici, Cosimo, fiducioso di riuscire a perorare con successo la sua causa, forse pensava che tutto si potesse risolvere con i soliti strumenti della corruzione spicciola. Gli andò molto male: fu accusato di ogni empietà, dall'eresia, alla sodomia, all’avvelenamento del suo predecessore, allo stupro (avrebbe violentato, secondo le accuse, più di duecento donne, monache comprese; un bel daffare, anche per un papa!!). Fu condannato, privato della dignità pontificia ed imprigionato nella fortezza di Heidelberg. Torna a merito di Giovanni de’ Medici non aver abbandonato l’amico in disgrazia. Pagò per il suo rilascio e finanziò anche il suo monumento funebre, realizzato da due dei più famosi artisti del momento, Donatello e Michelozzo, un omaggio che oggi ci sembra persino eccessivo, visto il personaggio!

La caduta del Cossa sarebbe potuta essere un colpo mortale per le fortune dei Medici, che avevano puntato tutto su di lui, ma proprio in quel frangente Giovanni dimostrò le sue doti di navigatore delle infide acque della politica: approfittò di un lungo soggiorno a Firenze del neoeletto, Martino V, (che non riusciva ad entrare a Roma per i persistenti disordini, generati dallo scontro tra le opposte fazioni) per avvicinarsi al nuovo pontefice, entrare nelle sue grazie ed ottenere la conferma dei benefici concessi dal predecessore.

A questo punto Giovanni poteva guardare con legittimo orgoglio al risultato della sua vita, le fortune della famiglia Medici davano già ombra a molti, anche se Giovanni si era sempre preoccupato di restare lontano dalla politica; eletto Priore più volte, una volta anche Gonfaloniere di Giustizia, aveva sempre assolto con scrupolo ai suoi compiti, avendo cura però di evitare ogni attrito con i “Grandi”, gli oligarchi che dominavano la vita cittadina, malgrado le disposizioni legge ne proibissero la partecipazione diretta alla politica.

La famiglia “ al potere” in quei tempi erano gli Albizi, Maso e poi il figlio Rinaldo, che esercitavano un dominio assai duro sulla cittadinanza, ogni dissenso era represso con l'esilio o anche con condanne a morte; sotto la loro guida, però, Firenze aveva raggiunto traguardi importanti : ai domini fiorentini, che già si estendevano fino a Pistoia, Volterra e Prato, ora si aggiungono, con gli Albizi, le conquiste di Pisa e Porto Pisano, importantissimo sbocco al mare, mentre Livorno è acquistata dai genovesi. La morte di Giangaleazzo Visconti, poi, mette al sicuro Firenze e rende più stabile anche la situazione politica interna.

Forse inebriato da questi successi, ma anche preoccupato dal crescente prestigio dei Medici Rinaldo Albizi, nel 1427, tenta un colpo di mano con l’appoggio dei Grandi, vorrebbe ottenere la modifica degli Statuti cittadini, per imporre alla città un governo apertamente autoritario.

Giovanni, allora, decide di spendere parte del prestigio acquisito principalmente con una pratica di vita sempre attenta alle condizioni del popolo, degli umili, dei meno abbienti: fa pervenire a Rinaldo un messaggio cauto, ma esplicito: “Se voi ricordaste le cose seguite e con quali inganni in questa città si cammina, sareste meno caldo in questa deliberazione”. L'Albizi capisce e fa un passo indietro: non dimenticherà.

Al Medici si deve anche l’introduzione di una grande novità nella vita pubblica fiorentina, il catasto: fino a quel momento la tassazione in vigore a Firenze era il testatico, spesso applicato in forma disordinata, arbitraria o persino vessatoria. Il catasto consente di tassare il patrimonio, in forma trasparente, ed è quindi una salvaguardia per i ceti più deboli: i Medici ci rimettono, sotto il profilo economico, ma guadagnano in considerazione e stima da parte di tutta la cittadinanza.

Giovanni muore nel 1428, circondato dall’affetto dei familiari e dal rispetto dei concittadini: sul letto di morte dice ai figli Cosimo e Lorenzo di non aver mai offeso alcuno, anzi ”secondo che ho potuto, beneficato ognuno”: ne fanno fede le ingenti donazioni in beneficenza.

Giovanni viene sepolto nella chiesa di San Lorenzo, di cui lui stesso aveva commissionato al Brunelleschi l’ampliamento, impegnando nell’opera una parte considerevole delle sue fortune: riposa con la moglie Piccarda nella sacrestia vecchia della chiesa che diverrà la chiesa della famiglia ed ospiterà tutte le tombe medicee, fino al 1500.

 

(Continua)

 

Inserito il:22/05/2018 11:32:38
Ultimo aggiornamento:31/05/2018 13:13:37
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