Aggiornato al 02/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Michele Modafferi (1974 - Enna) - Il bandolo della matassa - 2009

 

Il bandolo della matassa

di Giovanna Casertano

 

Nel secolo scorso il filosofo Theodor Adorno aveva sostenuto che il telefono, la televisione e la radio avrebbero cambiato qualitativamente il modo di comunicare, poiché le immagini e le parole verbali avrebbero sostituito il dialogo, che fino ad allora aveva trovato nella forma scritta il luogo della riflessione e del confronto. Dello stesso avviso era stato l'antropologo Walter Ong che denunciava un ritorno all'oralità causata dalla “cultura elettronica” con inevitabile abbandono della scrittura.

Negli ultimi tempi Jacques Derrida, il maggiore esponente della cosiddetta svolta linguistica, sosteneva che bisogna rivalutare la scrittura, in quanto la parola detta a voce vive nel presente e muore nel momento in cui è pronunciata; mentre la parola scritta, proprio grazie alla sua fissità, rivive nello spazio e nel tempo ogni volta che viene letta ed influisce sui processi mentali, in quanto “decostruisce” e quindi reinterpreta frasi e concetti che rivelano, attraverso una molteplicità di rimandi e significati, mondi sempre nuovi, mostrando la realtà nelle sue innumerevoli sfaccettature.

Ci si aspettava quindi che con la diffusione dei cellulari, internet, i social network, che facilitano e velocizzano la comunicazione, ci si allontanasse da quella forma scritta che una volta favoriva un certo tipo di dialogo e di interazione umana.

In effetti, per un certo periodo, di questi strumenti c'è stato un uso ed abuso al punto tale che non solo il modo di comunicare, ma lo stesso linguaggio sono stati modificati: la forma è diventata il contenuto di pensieri e concetti espressi con brevi sms, iconine, immagini, video immediatamente fruibili e condivisibili. La stessa vita vi si è adattata con ritmi più veloci di un tempo sempre presente.

Ma contrariamente a quanto ipotizzato, internet e la tecnologia sempre più avanzata non hanno diminuito la voglia di scrivere; anzi, i diversi strumenti facilmente accessibili, la scrittura digitale e i vari canali di condivisione e diffusione danno la possibilità non solo di esprimersi ma di raccontarsi, usando semplicemente le parole. Sono le parole scritte infatti, che ci fanno sentire presenti in un mondo sempre più “spersonalizzato”.

E ci sono alcuni momenti nella vita in cui le parole aiutano chi decide di scrivere perché ha bisogno di ritrovare il filo della sua intricata matassa: momenti in cui si ha bisogno di scrivere di se stessi, per riflettere e capire chi siamo, dove stiamo andando.

Ma prima di farlo bisogna guardarsi dentro. In silenzio.

Il filosofo e scrittore Duccio Demetrio, fondatore dell'accademia del Silenzio e della Libera Università dell'Autobiografia, sostiene che il ruolo del silenzio nelle nostre vite è un'esperienza umana essenziale per guardarsi dentro. L'autoanalisi e l'introspezione come pratica terapeutica per la cura e coltivazione del sé, della propria anima, del proprio presente avviene invece attraverso la scrittura del sé,  che rappresenta  il modo migliore per  indagare a fondo il nostro passato, comprenderlo e al tempo stesso, esprimere la nostra unica personalità.

Scrivere narrando la propria vita significa perciò, non solo ricordare fatti ed esperienze, avvenimenti e persone, sentimenti ed emozioni. La narrazione autobiografica aiuta a spiegarli e rielaborarli per trovare il bandolo dell'intricata matassa che è la nostra vita e per continuare il cammino verso una giusta o diversa direzione.

Secondo Jens Brockmeier, che conduce studi sulla narrazione come pratica linguistica, psicologica e culturale e la sua funzione per l'identità e la memoria autobiografica, presso l'American University of Paris,  il tempo autobiografico pur essendo personale, si intreccia non solo con le modalità temporali classiche del passato, presente e futuro, ma anche con i diversi ordini temporali di processi naturali, culturali e sociali  e il modello narrativo del racconto autobiografico in forma scritta risulta essere perciò l'unica modalità adeguata per ripercorrere con la memoria la varie tappe temporali del proprio passato, poiché facilita  l'accesso al ricordo e aiuta la memoria a ritornare ad eventi passati attraverso un processo costruttivo che permette di comprendere meglio la vita, ordinando e legando gli episodi e le azioni in modo sistematico e coerente in termini di causalità e sequenze interconnesse, ma anche, come sosteneva J. Derrida, a reinterpretarli ed infine, trasformarli in una nuova esperienza.

Pian piano la matassa si snoda, si ritrova il filo e si riesce a dare un senso allo stesso groviglio, un significato alla propria esperienza umana e una direzione per continuare il cammino.

Nell'antica Grecia Socrate considerava la scrittura uno strumento arido, meccanico, muto e non adatto all'acquisizione della virtù e della conoscenza: l'uso della scrittura col tempo avrebbe reso l'uomo più ignorante perché lo avrebbe privato della sua memoria, scrigo del sapere. Evidentemente si sbagliava.

Inserito il:23/09/2016 16:14:01
Ultimo aggiornamento:23/09/2016 19:38:02
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