Dulcis in fundo.
"Le belle arti sono cinque e cioè: la pittura, la scultura, la musica, la poesia e l'architettura, che ha come suo ramo principale la pasticceria". Marie Antoine Carême
I ricettari scritti a mano sono quaderni occulti, con ricette curiose e segrete. Dolci di casa che rievocano antichi profumi di mele e di burro. Quante Maria, Concetta, Caterina, Pina, si sono cimentate come cuoche, balie, tuttofare, tate e governanti, zie di età indefinibile o più frequentemente in là con gli anni.
"Faceva bene ogni cosa, fosse in salute o no, senza rumore e con l'aria di far niente", scriveva Proust in uno dei suoi romanzi, "sotto le gale di un'abbagliante cuffia, rigida e fragile come se fosse stata di zucchero filato".
Cugine, cognate, zie, padrone di casa, zitelle, suore di clausura, donne, perchè con la preparazione dei dolci siamo nel regno della femminilità. Donne relegate, chiuse fra le pareti domestiche, obbligate a ripetere sempre gli stessi gesti, ignare di possibili altri destini. Con mani leggere ed esperte, pazienti.
Mescola e sbatti, sciogli, impasta, decora e inforna. Il profumo di burro che arriva dalle cucine è irresistibile e si diffonde come una brezza avvolgente. Piatti di porcellana con centrini ricamati attendono pazienti.
E' buono? La prima domanda importante. Perchè per i dolci ci vuole il pubblico, che siano i bambini, che siano i maschi di casa. Puoi cucinare una pastasciutta se sei solo, ma per un dolce ci vuole un'occasione, un ospite, un bambino, un innamorato. Per avere la soddisfazione di esibirsi, il piacere di offrire, l'alibi per cadere in tentazione.
Quella domanda, ti piace?, chiede l'approvazione, anzi, la esige. Il sorriso e l'annuire premiano la fatica. Fra poco il dolce sarà finito, significherà che è stato gradito.
Prendine ancora, l'utimo pezzetto, sbriciolato, che sorride pacioso sul centrino.
E' così buono !
Dulcis in fundo, vi servo il soufflè di suor Venezia.
[...]
"Cossate gh'hee scritt chì?" Marietta s'era fermata con gli occhi birci sul foglietto, " Due uova intere e due tuorli" lesse Silvia "un bicchierino di Marsala, un etto e mezzo di zucchero..."
Quella mattina Silvia e Marietta erano in anticipo nel percorrere il tratto da Viale Monforte a Via Bellotti, dove al numero 10 sorgeva la scuola delle reverende suore benedettine. La donna intendeva farsi dare la ricetta del soufflè alle mandorle di suor Venezia, la portinaia del convento. In cambio, come correva uso fra loro, le portava certe sue dosi per il budino allo zibibbo.
"Avanti".
"Un chilo e mezzo di zibibbo".
"Un chilo e mezz? Cossa gh' hee scritt giò, pastissona? Un etto e mezz. Corregg subitt".
Silvia si fermò. Reggendo la cartella su un ginocchio e appoggiandovi sopra un foglietto corresse: "un etto e mezzo di zibibbo".
Le scolare cominciavano ad affluire verso il portone della scuola; accompagnate le più piccole, con ostentate cartelle e canestri, sole le più grandi, con pochi libri celati sotto i mantelli. Qualcuna scendeva da una carrozza privata d'un padre importante, atteso da civici impegni...
[...]
Luigi Santucci, Il velocifero.
Oppure il cucchiaio in un tramonto.
“La principale funzione di Louise e della mamma era di nutrirmi... Approfittavo con passione del privilegio dell'infanzia, per la quale la bellezza, il lusso, la felicità, sono cose che si mangiano... Rimanevo affascinata dalla frutta candita, dal cangiante dei marzapani, dalla screziata fioritura dei bonbons; verde, rosso, arancione, viola; agognavo i colori non meno dei piaceri che promettevano. Avevo spesso l'occasione di tramutare l'ammirazione in godimento. La mamma pestava nel mortaio delle mandorle tostate, mescolava quella grigia poltiglia granulosa con crema gialla; il rosa dei bonbons digradava in sfumature squisite; affondavo il mio cucchiaio in un tramonto...”
Simone de Beauvoir, Memorie di una ragazza perbene.