Persone d’inchiostro
Come ha efficacemente sostenuto lo scrittore americano Jonathan Gottschall, "i personaggi della finzione narrativa non sono nient’altro che gocce d’inchiostro sulla carta. Sono persone d’inchiostro. Vivono in case d’inchiostro dentro città d’inchiostro. Sudano e piangono inchiostro e se si feriscono sanguinano inchiostro. Eppure riescono senza troppa fatica a superare la membrana che separa il loro mondo d’inchiostro dal nostro. Si muovono attraverso il nostro mondo in carne e ossa e vi esercitano un potere reale".
Per questo Abramo Lincoln disse all’autrice della Capanna dello Zio Tom, Harriet Beecher Stowe, Allora questa è la piccola signora che con il suo libro ha scatenato questa grande guerra, riferendosi alla guerra civile americana.
Samuel Coleridge affermò che vivere l’esperienza di una storia comporta per il lettore una volontaria sospensione dell’incredulità. Gli autori ingannano i lettori portandoli a svolgere la maggior parte del lavoro di immaginazione. La lettura viene a volte considerata un atto passivo. In realtà quando entriamo in contatto con una storia, la nostra mente lavora alacremente e attivamente.
Lo scrittore dunque non è l’unico architetto della nostra esperienza di lettura. Guida il nostro processo di immaginazione ma non lo provoca. Un autore scrive delle parole inerti. Per essere portate in vita necessitano dell’immaginazione del lettore.
Perché gli esseri umani raccontano e assorbono storie? La risposta sembra ovvia: le storie ci piacciono, ci danno gioia. Ma non è scontato perché le storie debbano darci piacere, non come ad esempio capita con il cibo.
Forse le storie sono una forma di gioco cognitivo: un’espressione che funge da parco giochi della mente. L’esercizio dell’arte, in tutte le sue forme, agisce sui nostri muscoli mentali come giocare alla lotta affina i muscoli fisici.
E se le storie fossero fonti poco costose di informazione? Attraverso le narrazioni impariamo molte nozioni senza i costi potenzialmente pericolosi di dover acquisire queste esperienze di prima mano.
O le finzioni narrative sono come la droga. Si possono trovare le più articolate giustificazioni estetiche per provare la propria assuefazione al consumo di storie, ma le storie possono essere un mezzo per sfuggire alla noia della vita reale.
Le storie possono essere osservate come accidenti casuali della costruzione della mente. Ma sono una delle cose per cui più vale la pena di essere umani. Questo non significa che abbiano una finalità biologica. Anche se non può negarsi che se l’attitudine alla narrazione fosse solo un semplice passatempo, l’evoluzione l’avrebbe eliminata da parecchio in quanto inutile esercizio mentale.
C’è nella finzione narrativa un paradosso che Aristotele mise in luce nella Poetica. Siamo certamente conquistati dalla finzione perché ci piace. Ma le componenti della finzione in genere non sono piacevoli: minacce, morte, disperazione, ansietà. E anche i temi leggeri sonno organizzati intorno ai problemi: ce la farà un adolescente innamorato a conquistare una top model di successo? O riuscirà l’Ispettore Clouseau a risolvere uno dei suoi casi?
Il conflitto è l’elemento fondamentale della finzione narrativa. In altri termini, "l’inferno è amico delle storie". Difatti, tutte le storie sono centrate sulla struttura Personaggio + Situazione difficile/Problema + Tentativo di superamento.
La finzione narrativa si esplica così dentro le mura di una prigione. Quasi tutti gli autori di storie lavorano entro i confini della struttura incentrata sul problema, che ne siano consapevoli o meno. Scrivono storie intorno a uno scenario di complicazione, crisi e soluzione.
Ciò è dimostrato anche dall’analisi dei sogni: il mondo onirico non è un luogo felice. La maggior parte dei sogni contiene esperienze minacciose e le corrispondenti emozioni sono negative. L’aspetto cruciale è che normalmente la nostra mente non ha modo di sapere che il sogno è solo un sogno: la nostra esperienza onirica ci sembra reale perché per il nostro cervello essa è reale.
Tolstoj pensava che il lavoro di un artista fosse quello di "contagiare" il pubblico con le sue idee ed emozioni: "più forte è il contagio e migliore è l’arte in quanto arte". Tenendo a mente quest’affermazione, è stato dimostrato che i lettori sono più congruenti con le idee espresse in un’opera di finzione narrativa.
Proprio la fiction è efficace nel modificare i convincimenti, più della saggistica che è concepita per persuadere attraverso ragionamenti e dimostrazioni.
Come si spiega tutto ciò? Perché siamo creta nelle mani di un narratore di storie? Come è stato affermato, "una possibilità è che la finzione mescoli la polvere (la medicina) di un messaggio allo zucchero della narrazione".
E nei nostri tempi moderni e velocissimi? La narrazione si evolve come un organismo biologico, si adatta costantemente alle richieste del suo ambiente.
La tecnologia dello storytelling si è evoluta dai racconti orali, alle tavolette d’argilla, ai manoscritti, ai libri stampati, ai film, alla televisione, agli e-book e ai tablet. Questo produce effetti rivoluzionari sui modelli economici e produttivi, a volte schiantandoli, ma fondamentalmente non modifica le storie.
La finzione narrativa rimane centrata sul modello Personaggio + Situazione difficile/Problema + Tentativo di superamento.
Esso non morirà come ci insegna Nuovo Mondo, il libro forse più preveggente mai creato, scritto da Aldous Huxley nel 1932. Fino a quando non ci condurranno in un mondo nuovo, in cui la natura e la cultura umana siano radicalmente compresse, le storie non moriranno. Huxley ce lo conferma. Il suo romanzo presenta un solo personaggio autenticamente umano, John il Selvaggio, che non a caso è un disadattato perché ai feelies – tecnologia che non dispensa storie ma sensazioni – preferisce sempre e comunque i versi di Shakespeare.