Aggiornato al 11/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Gerardo Dottori (1884-1977) – Saltatore con l’asta - 1934

Il traguardo.

La parola lo spaventava al di là del suo significato. Proprio il suono della parola gli sembrava violento, duro, un peso che la vita ogni tanto ti mette tra capo e collo se non sei fortunato, se devi fare sempre qualcosa per arrivare. Certo ci sono quelli che vengono al mondo già arrivati e se la godono pensava, sono anche sempre sereni e indifferenti e questo finisce per diventare una dote, un qualcosa in più rispetto agli altri. Ma allora non siamo tutti uguali, ci sono i privilegiati e ci sono quelli che nella vita devono raggiungere tanti traguardi e ringraziare pure che i traguardi ci sono perché ci sono quelli che corrono verso il vuoto e davanti non hanno nessun traguardo.

Questi pensieri attraversavano la mente di Bruno, mentre era seduto su uno di quei muriccioli di pietra che caratterizzano i luoghi suoi, del suo paese, della sua terra e, solo, aspettava un amico e sorseggiava un bicchiere di un bianco grillo freddo al punto giusto che aveva preso in una piccola osteria (che per lui era il bistrot del paese) a pochi metri. Il suo bistrot si trovava quasi alla fine del paese ed era ormai diventato da anni un punto di incontro, un punto di meditazione, un punto per bere un buon bicchiere ed era gestito da due svelti giovanotti che dopo una esperienza di lavoro fatta a Milano, erano tornati e gestivano con professionalità, simpatia e dedizione questa iniziativa che incontrava a detta di tutti grande successo.

Bruno aveva anche lui lasciato il suo paese, aveva tentato di fare, di buttarsi nella competizione, di partecipare ad un processo in cui bisogna muoversi in continuazione, essere amici di persone anche quando non lo si è, nel senso che bisogna fingerlo sino a quando è utile per arrivare da qualche parte.

Ecco questo arrivare da qualche parte era terribile, era il traguardo, era l’asta che bisognava saltare e se non si riusciva si perdeva, e in quel mondo dove aveva tentato di entrare non si poteva perdere. La sconfitta voleva dire la scomparsa, voleva dire la cancellazione di sforzi, sacrifici, tentativi, speranze. La sconfitta significava mettersi di lato, vedere passare gli altri e sfruttare quello che si poteva raccattare, quello che gli altri non volevano, non potevano volere.

Pensava alla vita che aveva lasciato, alle opportunità che non aveva colto, alla sconfitta di tornare in paese e di fare il consulente in informatica, il badante del software come lui diceva. Si era fatto conoscere, era puntuale, si impegnava, non era caro, era soddisfatto perché campava e poteva pensare magari al futuro. Pensava a tutto questo Bruno mentre aspettava il suo amico per andare a cena in un posto che avevano appena aperto sul mare a Punta Secca.

Rifletteva su come il concetto di traguardo è collegato alla competitività, al modello di società che oggi ci viene mostrato ovunque, nelle pubblicità, nelle scuole, nella politica, nelle aziende. Gli amici in gran parte parlano solo di quello, dei traguardi superati, di quelli da superare, di quelli che si possono affrontare, delle vittorie, di quanta gente ha perso, della soddisfazione più grande.

Rifletteva e pensava perché gli piaceva molto pensare, gli piaceva molto fantasticare, lui diceva a se stesso che in fondo viveva una vita parallela, un sogno che si alimentava ogni giorno e che alla fine della giornata spesso non distingueva tra la vera realtà e il sogno realtà, tanto erano concreti allo stesso modo, tanto bene disegnavano i personaggi, le situazioni e le cose che accadevano. Poi gli piaceva molto pensare davanti a quella campagna, a quei muretti di pietra bassi, a quel profumo di erba misto a quello di carrube, a quei colori che si mischiavano e si sovrapponevano, dal verde intenso del carrubbo, al verde tenero e delicato dell’erba con il blu del mare sullo sfondo e qua e là il rosso dei fichidindia e il bianco delle bocche di leone.

Inizialmente aveva sofferto a tornare, aveva sofferto di dover ammettere a se stesso di non essere capace di competere e, di più, di non essere interessato a competere, di odiare i traguardi, tutti i traguardi, di ogni genere, di voler interpretare la vita solo come un impegno umano, come un piacere senza dover sprecare risorse intellettuali e fisiche per combattere e vincere o perdere. Ma adesso era proprio contento, aveva superato un tabù e si godeva la vita, i luoghi, il lavoro, lo studio, gli spazi in cui spesso si rifugiava.

Intanto era arrivato il suo amico, il vino del bicchiere era finito, andarono insieme dagli amici del bistrot per bere insieme prima di andare in riva al mare per la loro partita a chiacchiere. Le chiacchiere del paese, del luogo come era e come è e come sarà, della difficoltà di vivere, ma del piacere che si aveva se si accettavano i ritmi dolci e teneri della natura, se si accettava di non amare il potere. Soprattutto di vivere senza traguardi da scavalcare o in cui spiaccicarsi.

 

Inserito il:31/08/2015 15:44:10
Ultimo aggiornamento:14/09/2015 10:44:39
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